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Intervento record al Gemelli: asportato in endoscopia un tumore del retto grande quasi come un foglio A4, con innovativa tecnica giapponese

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Si chiama Dissezione Endoscopica Sottomucosa (Endoscopic Submucosal DissectionESD) ed è una tecnica di chirurgia endoscopica avanzata, messa a punto in Giappone una ventina d’anni fa. Da allora viene comunemente utilizzata in oriente per il trattamento dei tumori dello stomaco in fase iniziale, mentre è poco utilizzata in Occidente, per la scarsità di esperti e di possibilità di training. Per questo, Federico Barbaro, giovane chirurgo di 37 anni, Dirigente medico presso l’UOC di Endoscopia Digestiva Chirurgica, Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS, diretta dal professor Guido Costamagna, per impararla ha fatto un periodo di formazione presso lo University Medical Center di Yokohama, dal professor Kingo Hirasawa, un’autorità in materia.

Effettuato al Gemelli un intervento straordinario in endoscopia

Un intervento straordinario. A beneficiarne, qualche giorno fa, è stato un uomo di 65 anni, con un enorme tumore del retto, a crescita superficiale (laterally spreading tumor). Una estesa lesione precancerosa, altrimenti destinata a un intervento chirurgico tradizionale demolitivo di asportazione del retto e confezionamento di una colostomia (il cosiddetto ‘sacchetto’). L’intervento, durato quasi 10 ore (580 minuti), è stato effettuato dal dottor Federico Barbaro, con il paziente in sedazione profonda e respiro spontaneo (il paziente non era intubato). Dimesso dopo 4 giorni, il paziente sta bene e verrà ora sottoposto ad un ciclo di radioterapia adiuvante per completare il trattamento e ridurre al massimo il rischio di metastasi.

Il sessantenne si era recato dal suo medico per disturbi insorti da qualche mese: abbondante perdita di muco, accompagnata sporadicamente da sangue nelle feci e potassio a livelli sempre più bassi nelle analisi del sangue. La rettoscopia aveva evidenziato la presenza di questa enorme lesione che, per arrivare a queste dimensioni, impiega anni.

“Rispetto alle altre tecniche di resezione endoscopica – spiega il dottor Barbaro, Dirigente Medico di I Livello – UOC Endoscopia Digestiva Chirurgica, Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS – – la ESD offre il vantaggio di consentire una resezione delle lesioni neoplastiche superficiali del tratto gastro-intestinale, di qualsiasi dimensione, in un unico grosso frammento, avvicinando in questo modo l’endoscopia alla chirurgia. Questo rende possibile un’accurata valutazione circa la presenza o meno di fattori di rischio di invasività, che permette di giudicare se l’intervento eseguito è stato radicale e quindi se è stato curativo o meno. Asportare questa lesione con una tecnica endoscopica tradizionale, cioè in tanti frammenti, non consentirebbe un’analisi istopatologica accurata; per questo il paziente sarebbe stato di norma avviato ad un intervento di radicalizzazione chirurgica, consistente nell’asportazione del retto e ad una colostomia definitiva, cioè al confezionamento di un ‘sacchetto’ (intervento di Miles), con un enorme impatto sulla sua qualità di vita. Con la ESD siamo riusciti invece a preservare l’organo e la sua funzione. I rischi di questo intervento nel breve termine sono l’emorragia post-procedurale e la perforazione; nel lungo termine il paziente va monitorato per il rischio di una stenosi cicatriziale, che può essere comunque risolta con dilatazioni endoscopiche”.

Questo intervento è stato eccezionale per le dimensioni del pezzo resecato, tra i più grandi (il più grande in assoluto tra quelli riportati in letteratura scientifica) mai asportati finora al mondo.

La tecnica ESD. Per effettuarlo, oltre all’endoscopio, vengono utilizzati un ago per iniettare nella sottomucosa una sostanza ‘liftante’, che scolla la lesione mucosa dai piani profondi, evitando così di danneggiarli, e un ‘endo-knife’, una sorta di mini-bisturi, che incide e disseca la lesione mucosa, pian piano, fino all’asportazione in blocco del tumore. L’intervento si è avvalso inoltre di tecniche di endoscopia potenziata, che consentono di magnificare enormemente le immagini, aumentandone la risoluzione. “Questo – spiega il dottor Barbaro – consente di studiare in dettaglio la struttura superficiale della lesione (sia il disegno ghiandolare, che vascolare). Ma siamo ancora lontani da una caratterizzazione precisa delle lesione, anche se un grande aiuto in tal senso sta arrivando dall’intelligenza artificiale che, associata all’endoscopia potenziata, affina le capacità di individuare le lesioni precancerose, tema molto ‘caldo’ nella prevenzione dei tumori”.

Importanza dello screening endoscopico per le neoplasie del colon retto

In Italia un uomo su 12 e una donna su 19 svilupperanno un cancro del colon retto nell’arco della vita. “Le lesioni neoplastiche del colon e del retto – afferma il dottor Lucio Petruzziello, Responsabile della UOS Endoscopia Colorettale e Screening del Cancro Colorettale, Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS – possono essere individuate e rimosse in fase iniziale grazie allo screening del cancro colorettale, uno dei tre screening tumorali effettuati in Italia, secondo le linee guida ministeriali (gli altri due sono quello della mammella e quello della cervice uterina) e l’unico ad interessare sia donne che uomini”.

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Le note dolenti: manca un DRG adeguato per questi interventi innovativi

“Non esiste, ad oggi, un corrispettivo economico adeguato per questi interventi innovativi, che risparmiano ai pazienti una chirurgia demolitiva – afferma il professor Guido Costamagna, Direttore UOC Endoscopia Digestiva Chirurgica, Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS e  Ordinario di Chirurgia dell’Università Cattolica, campus di Roma – Nonostante la spesa per il ricovero, la sala endoscopica, il personale, gli strumenti e gli accessori che si utilizzano in queste procedure, una ESD come quella descritta, viene ad oggi remunerata come una banale polipectomia ambulatoriale. Attualmente dunque queste prestazioni possono essere garantite al paziente solo se la struttura ospedaliera se ne prende carico e impiega risorse proprie, poiché le Regioni e lo Stato non hanno ancora fissato rimborsi adeguati.”.