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Elezioni a Roma, tanti nomi e pochi programmi: perché li votiamo?

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Le elezioni al Comune di Roma sono imminenti. Tanti i nomi proposti da Partiti, Movimenti e liste civiche. Scarseggiano i programmi. Ma allora perché li votiamo?

Non esiste una singola risposta al quesito. Le motivazioni sono molteplici. La percezione dei candidati è generalmente resa possibile dai media. Le nozioni che influiscono sul giudizio di un uomo politico sono essenzialmente tre: l’appartenenza partitica; la posizione che ha su temi specifici e le caratteristiche legate ai suoi tratti fisici.

L’ultima di queste è quella più rilevante nella formazione del giudizio da parte dell’elettore: questo fa intuire come un medium quale la televisione sia diventato preponderante nell’attuale fase di comunicazione politica. I tratti personali sono distinti in 5 tipologie: la competenza; l’integrità; l’affidabilità; il carisma; le caratteristiche personali.

Il voto al Partito è spesso influenzato anche dalla famiglia di appartenenza di ciascuno. La scelta elettorale e l’identificazione con il leader o il Partito non sarebbe così determinata totalmente dalle informazioni in possesso di ognuno di noi, almeno per i meno avvezzi alla politica. È il frutto di un’azione irrazionale, dettata dalla fiducia incondizionata nei confronti dei componenti del nucleo famigliare. L’elettore si basa soprattutto sulle notizie che è in grado di reperire. Esistono 4 categorie di conoscenza dell’agire politico, non tutte dipendenti dalla volontà del soggetto.

Il primo processo di selezione viene elaborato dai media – la cosiddetta Agenda setting. Il secondo è dettato da una involontaria esposizione all’informazione in base al contesto. La terza è quella alla quale l’individuo decide volontariamente di esporsi, e quindi scegliere quali sono le notizie da approfondire. L’ultima riguarda la salienza delle stesse: quelle che più catturano l’interesse.

La maggior parte delle informazioni che riceviamo al giorno d’oggi sono fornite da internet e dalla tv. Se il primo è ancora considerato “avverso” alle vecchie generazioni, la televisione è adatta per essere fruita da tutti. Ogni spazio mediatico occupato da un politico diventa una cassa di risonanza e un luogo dove cercare visibilità. Ciò è facilitato anche dalla peculiarità del medium televisivo: poco votato all’approfondimento e molto di più all’immagine. A ciò va aggiunta l’incapacità cronica di taluni conduttori di fermare e bacchettare il politico di turno mettendo la sua retorica alla prova dei fatti: rimanere in buoni rapporti con chi comanda le sorti dell’editoria è più importante dell’indipendenza.

I nomi fatti per queste elezioni sono tanti: Giachetti, Raggi, Bertolaso, Marchini, ecc. Qualcuno conosce i loro programmi? In molti casi non ci sono, alcuni non sono stati pubblicamente affrontati e in altri non c’è interesse nello spiegarli perché i cittadini ne sottovalutano l’importanza: se a proporre un programma elettorale è un politico che ci sta antipatico o non appartiene allo schieramento a noi consono, non lo prendiamo neanche in considerazione. Bisognerebbe prima proporre un programma e poi pensare a uno staff che abbia le adeguate competenze per riuscire a portarlo a termine.

Per trasmettere il messaggio serve un leader in grado di usare una forte retorica. La televisione ha creato un forte problema legato alla personalizzazione della politica. Il contenuto deve essere fruito da una audience variegata e per questo necessita di un processo di de-ideologizzazione. Nei simboli elettorali prevalgono i nomi dei candidati e nei salotti televisivi vanno solamente le persone dotate di bella presenza e buona parlantina. Le parole “politica” e “Partito” hanno assunto un’accezione fortemente negativa e questo sta a spiegare le principali scelte delle formazioni politiche in ballo.

E così Lega Nord diventa Noi con Salvini: la parola “Lega” ricorda gli anni in cui Bossi & soci intonavano gli slogan di Roma ladrona, e viene quindi eliminata. I 5 Stelle non si fanno chiamare Partito ma Movimento, non sono né di Destra, né di Sinistra e nemmeno di Centro, e Virginia Raggi non ha un passato politico alle spalle. Giachetti rappresenta Renzi (il quale proviene dal mondo del marketing), ma è il meno renziano nella comunicazione e nella sua storia all’interno del Partito. Bertolaso non ha alle spalle una militanza in Forza Italia. Marchini proviene dalla cosiddetta società civile. Insomma, si è fatto di tutto per nascondere la parola “politica”, poiché agli occhi dei cittadini è diventata “sporca”. Stesso discorso per quanto concerne le ideologie: dichiararsi di Sinistra o di Destra sembrerebbe faccia perdere voti. Eppure è chiaro a tutti come siamo nell’era del pensiero unico neoliberista (sia di Destra mainstream che di Sinistra mainstream) e non post ideologico come si vorrebbe far credere.

Per anni l’immagine ha avuto la meglio su tutto e l’opinione pubblica è sembrata anestetizzata. Bisogna tornare a parlare di temi importanti e non di nomi, di soluzioni e non solo di problemi, di fattibilità dei progetti e non di slogan. Si deve votare guardando ai programmi e non alla convenienza politica o al nome accattivante. Soltanto così Roma potrà tornare a risplendere come merita.

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