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Pedoni, buche e asfalto sconnesso: la sentenza

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Molte strade italiane hanno una pessima manutenzione: ci sono buche, avvallamenti, crepe, tombini traballanti, griglie rotte, sconnessioni varie. Questo succede anche sui marciapiedi destinati al passaggio dei pedoni. Inciampare e cadere è facile.

Pedoni, buche e asfalto sconnesso: la sentenza riportata dallo Sportello dei Diritti

Occorre fare attenzione camminando, ma a volte la cautela non basta, se il pericolo è poco visibile. E cadendo ci si possono procurare serie lesioni personali, come fratture di gambe o braccia e distorsioni agli arti. Così in caso di caduta su marciapiede sconnesso, si pone il problema del risarcimento dei danni.

I giudici si occupano spesso di queste vicende e ci sono sentenze che spiegano quando e perché la responsabilità della caduta deve essere attribuita all’Amministrazione pubblica, che dovrebbe provvedere alla cura ed alla manutenzione della strada, ad esempio, i Comuni per le strade cittadine. Come quanto emerge dalla sentenza della D.ssa Eliana Tazzoli, pubblicata il 25 gennaio 2024 dalla seconda sezione civile del tribunale di Taranto nella causa iscritta sotto il numero d’ordine 4078/2020 del R.G.

Dunque, il Comune risarcisce la caduta sull’asfalto deformato anche se, per ipotesi, il pedone è imprudente. E ciò perché l’ente locale deve provvedere alla manutenzione delle strade: l’eventuale condotta incauta del danneggiato non esclude la colpa dell’amministrazione, che per essere esonerata dalla responsabilità da costa in custodia deve dimostrare l’eccezionalità e l’imprevedibilità nel comportamento del danneggiato. E pure di avere fatto quanto in suo potere per rimuovere o ridurre l’incidenza della situazione di pericolo. Accolto la domanda proposta dalla signora infortunata: ottiene un risarcimento di oltre 12 mila euro liquidati in base alle tabelle del tribunale di Milano.

La signora scivola sull’anomalia del manto d’asfalto si ritrova per terra lungo il marciapiede: riporta un danno biologicoChiave interpretativa permanente del 7 per cento, un’inabilità temporanea totale di trentacinque giorni 35, parziale al 50 per cento di altri trenta e parziale al 25 per cento di altrettanti. La danneggiata assolve l’onere della prova costituito a suo carico: dimostra la lesione patita e il nesso causale fra la cosa in custodia del comune e il pregiudizio patito.

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I due testimoni escussi, entrambi indifferenti alla vicenda, confermano la dinamica della caduta: riconoscono dalle foto mostrate lo stato dei luoghi e soprattutto presenza di un cordolo non segnalato. Ininfluente invece la deposizione del figlio della signora che ammette di non aver assistito al sinistro.

Ad avviso del Giudice, infatti, di cui ha scritto il sito Cassazione.net, rileva Giovanni D’Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti”, il motivo è fondato e, al riguardo, hanno ricordato che “Il Comune, da parte sua, non fornisce la prova di aver messo in atto tutte le precauzioni possibili affinché la cosa in sua custodia non fosse potenzialmente pericolosa: deve ritenersi che lo stato dei luoghi costituisce un contesto oggettivamente pericoloso creato in modo colposo dalla pubblica amministrazione: utilizzando la normale diligenza richiesta la danneggiata non avrebbe potuto evitare l’imprevedibile situazione di pericolo.

Il tutto benché in base al principio di autoresponsabilità gli utenti della strada gli utenti della strada siano gravati di un dovere generale di attenzione e diligenza: i pedoni, insomma, devono stare attenti a dove mettono i piedi”.

Foto di repertorio

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