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Cassazione: legittimo il licenziamento del bancario che importuna le colleghe

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Licenziato il dipendente che ci prova sempre con le colleghe. Sussiste la giusta causa per i continui approcci e inviti inopportuni, suffragata dal fatto che il dipendente ha manifestato anche un profondo disinteresse per il turbamento ed il disagio provocato alle colleghe con la sua condotta.

I dettagli sulla sentenza riportati dallo Sportello dei Diritti: è legittimo il licenziamento di chi importuna le colleghe sul posto di lavoro

Nello specifico pesa la mancanza di rispetto dell’uomo verso le vittime delle sue “attenzioni”, ripetute e sgradite, che mettono a disagio e turbano le destinatarie.

Le condotte inappropriate risultano lesive della dignità e della sicurezza delle interessate oltre a essere contrarie al decoro e alla correttezza da mantenere per i rapporti nell’ambiente di lavoro.

Il lavoratore aveva impugnato giudizialmente il licenziamento disciplinare irrogatogli dinanzi la Corte d’Appello di Milano (sentenza n. 439 del 04.03.2020), a causa dei continui e sgraditi approcci ed inviti rivolti a due sue colleghe, attraverso l’inoltro persistente di messaggi tramite il sistema di comunicazione aziendale interno e tramite SMS.

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Prima del recesso la società adotta un diffida nei confronti del dipendente, che tuttavia resta inadempiuta, per garantire la tranquillità oltre che la sicurezza delle lavoratrici: l’atto dell’azienda non esaurisce affatto il potere discrezionale del datore. È quanto emerge dall’ordinanza 31790/2023 pubblicata il 15 novembre 2023 dalla sezione lavoro della Cassazione.

Diventa definitivo il licenziamento disciplinare inflitto al bancario, che ha “puntato” due colleghe.

Decisive in giudizio le testimonianze delle interessate: hanno provato fastidio – e talvolta paura – per le avance dell’uomo, al punto da denunciarlo ai superiori. La banca si vede costretta ad adottare un’articolata diffida scritta nei confronti del dipendente.

Per gli Ermellini, infatti, di cui ha scritto il sito Cassazione.net, rileva Giovanni D’Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti”, il motivo è fondato e, al riguardo, hanno ricordato che “Non soltanto perché la condotta dell’interessato costituisce una violazione delle disposizioni aziendali: l’iniziativa del datore è dettata dalla necessità di adempiere gli obblighi di garanzia e protezione di salute e sicurezza delle dipendenti. Non giova alla difesa dell’incolpato dedurre che ai fini della contestazione varrebbero soltanto i fatti successivi alla diffida perché su quelli precedenti il potere disciplinare si sarebbe esaurito. La sequenza risulta conforme alla legge: la diffida costituisce esercizio del potere direttivo, ma il lavoratore continua a fare i suoi comodi; è quindi l’inadempimento a far scattare il procedimento disciplinare per tutti i fatti lesivi verso le colleghe e l’utilizzo improprio dei mezzi di comunicazione aziendale; nella contestazione è compresa in modo legittimo la recidiva per una precedente sanzione di diversa natura. La giusta causa di licenziamento, del resto, è una clausola generale che va «concretizzata anche con fattori esterni relativi alla coscienza generale”.

Foto di repertorio

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