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Colleferro, cibo da asporto: il delivery conviene per un ristoratore?

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Colleferro, cibo da asporto: il delivery conviene per un ristoratore?

Periodo difficile questo per i ristoratori. Il coronavirus ha messo a dura prova questa categoria di lavoratori che, per esigenza, ha dovuto necessariamente far fronte al delivery. Ma sono tutti d’accordo sulla convenienza del cibo d’asporto? Non tutti, soprattutto a Colleferro. Scopriamo perché c’è chi dice no.

Ai nostri microfoni, in esclusiva, abbiamo ascoltato un noto ristoratore locale: Marco Aglitti, gestore dell’Umami. Ecco le sue parole.

Food delivery: un ristoratore di Colleferro spiega perché non (gli) conviene

Il cibo da asporto, in questi mesi, ha rappresentato un’opportunità per i ristoratori?

La consegna a domicilio non è una novità assoluta, ma spiega bene il concetto del “ti porto l’emozione a casa”, che abbiamo provato a trasmettere ai nostri clienti in questi lunghi mesi di lockdown.

Non è un automatismo, ma un concept che necessita di approfondimento e che può essere la terza via tra lo stare chiusi e aspettare una riapertura normale, di cui non si conoscono con precisione modalità e tempi.
Chi pensa che il mercato del delivery sia più semplice di quello “classico” della ristorazione, purtroppo sbaglia.

Ho scritto “purtroppo” perché probabilmente anche io ho fatto questo errore di valutazione. Forse lo era prima del Covid, ma non ne sono sicuro. Sicuramente oggi, adesso, è un settore del tutto “nuovo” e altamente insidioso, pur trattandosi di una cosa sempre esistita. Cucinare per le persone che mangiano a casa propria è difficile. Punto.

È difficile perché non si può fare pieno affidamento sul fattore emozionale: nessuna salsina da versare al tavolo, nessun sorriso mentre si porta il piatto, nessuna cottura al tavolo e neanche un racconto per spiegare l’idea di quel piatto.

E se le cose vanno male?

Neanche la possibilità di rimediare. Niente. Neanche un dolce offerto o un cospicuo sconto a fine pasto.
Idem se le cose vanno bene: nessuna mancia e nessuna bevuta offerta con tanto di chiacchierata.
Tutto maledettamente freddo ed emarginato al proprio scopo. Far arrivare un proprio piatto a casa, così, senza “preliminari”, è quasi “violento”. Un gesto forte che ci ricorda la prima regola del cibo: nutrire.
Perché prima facevamo diversamente?!

Economicamente, secondo quella che è la tua esperienza, conviene il cibo d’asporto per un ristoratore?

Economicamente il delivery è un bagno di sangue, è semplicemente un’altra attività. Adattare una cucina professionale che ha marginalità differenti rispetto al delivery può essere molto pericoloso. Più che altro si rischia di perdere coerenza e di uscire sul mercato con prezzi estremamente bassi o molto alti.

Il cliente che cerca il cibo da ordinare per casa segue parametri diversi rispetto a quello che vuole andare fuori a mangiare. Il rischio è quello di pensare che si tratti dello stesso cliente, invece ci sono esigenze completamente differenti, e non parlo solo del fattore economico, anzi. Ma più che altro il delivery ha bisogno di essere sviluppato attraverso un binario parallelo a quello della ristorazione.

Non è, come pensano molti, un ramo della ristorazione ma è completamente un altro settore: studio della gestione delle derrate alimentari, ottimizzazione dei tempi, marketing, packaging, studio delle tempistiche e, perché effettuo le consegne da solo, organizzazione coi fattorini. Per chi invece non fa le consegne “da sé” ci sono altissime percentuali da pagare alle società che offrono questo servizio (dai 300 ai 400€ per attivare il servizio e dal 22 al 35% su ogni singolo scontrino, in più in molti casi il cliente paga la consegna al rider!)
Per questo la marginalità è davvero sottilissima e va saputa gestire.

Il 35% sul cibo, per me, è una soglia troppo alta per rientrarci con il mio tipo di proposta “per farlo dovrei abbassare la qualità rispetto al solito”. Discorso diverso per il vino: “già applicano uno sconto del 20% per la vendita a scaffale, un altro 10% riuscirei a sostenerlo ma non di più, considerandolo un servizio al pubblico, un modo per mantenere vivo il legame con la clientela e per impiegare la forza lavoro altrimenti ferma.

Quindi, l’idea è quella di non fare nessun servizio a domicilio?

Abbiamo quindi deciso di non fare il servizio di delivery perché non siamo in grado di mantenere lo stesso livello di qualità e di servizio a cui abbiamo abituato i nostri clienti e ci auguriamo che tutto questo finisca presto per riaverli tutti seduti, in maniera conviviale, tra piatti e calici di buon vino.

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