Ci sono volte in cui parlare di lavoro è sbagliato.
Quando si ha a che fare con delle determinate categorie di persone, parlare di lavoro diventa sbagliato, quasi inopportuno.
Si può dire che fare il medico sia un lavoro? Dedicare la propria vita per aiutare gli altri piuttosto che sé stessi può essere solo un mestiere?
Oppure, ancora, scegliere di fare il poliziotto può essere solo un discorso di turni e di straordinari? O magari il fatto che, talvolta, si rischia di non tornare a casa dai propri cari fa in modo che si rifletta maggiormente sulle tante declinazioni che la parola ”lavoro” conosce?
Quando si parla di sé stessi, ossia quando in un determinato mestiere viene coinvolta la propria sfera personale a trecentosessanta gradi, parlare semplicemente di lavoro diventa riduttivo: in tal caso, infatti, si parla di Missione, di una vera e propria vocazione.
Allo stesso modo, diventare un Ministro di Dio è una scelta difficile ed ardua, che implica una forte vocazione dentro di sé.
Essere prete o diventare prete? Un dilemma molto forte
Contrariamente a quanto si possa pensare, questi due verbi nascondono tanti sentieri impervi al loro interno, e se non si fa attenzione si rischia di inciampare in piccoli dettagli di pensiero molto importanti.
Perché esiste una distinzione così netta tra l’essere e il diventare? La risposta è semplice: tutti possono diventare qualcosa. Si può diventare pizzaiolo, cuoco, pasticcere, persino impiegato se lo si vuole. Oltre alla dedizione, c’è bisogno di grande passione e di impegno.
Ma allora perché non si può diventare Sacerdote? Semplice: perché Sacerdote lo si è. E’ una sorta di tatuaggio impresso nel DNA delle persone, come se Dio modellasse il codice genetico con le sue stesse mani.
Essere un Sacerdote significa avere una forte vocazione dentro di sé, che spinge talvolta ad abbandonare tutto e tutti pur di seguire la propria natura.
E se non lo si è? Si può diventare comunque Parroco? A questa domanda ci sono innumerevoli risposte, ma in linea di massima sono molteplici i seminari che organizzano incontri di meditazione, riflessione e studio dove ragazzi curiosi provano sulla propria pelle l’esperienza dell’introspezione ancestrale e liturgica.
Il Sacerdozio è un destino già scritto?
Tale domanda non si discosta poi tanto da quanto detto sopra: spesso si tratta di una vocazione vera e propria che si ha dentro, e che nessuno può cambiare.
Tuttavia, spesso si è sordi al richiamo del Signore: sono tante, infatti, le persone che facevano tutt’altro mestiere per poi lasciare tutto-talvolta anche la famiglia- per servire Dio come umile Ministro della sua Parola.
Semplicemente, per quanto talvolta gli uomini possano fuggire la verità, questa torna a battere forte sulle porte di casa.
E’ possibile affermare, dunque, che tutti quelli che vestono l’abito sacerdotale, lo facciano in virtù di una chiamata già presente dentro di sé; alcuni la accolgono senza remore, altri invece hanno bisogno di tempo prima di comprendere che la loro strada è quella che conduce sino alla parola di Dio.
Il Sacerdote: colui che guida il gregge
Nonostante tale metafora sia da sempre sulla bocca di tutti, non v’è altro modo che quello di definire il Parroco un pastore che conduce il suo gregge.
Le anime degli uomini, talvolta, sono inquiete e disperate, e vagano alla ricerca dei piaceri più edonistici per soddisfare una sete che non trova ristoro.
Il Parroco, nella sua saggezza di uomo terreno che ben comprende i limiti, prende per mano il suo gregge e lo conduce verso luoghi sicuri, facendo così in modo che gli uomini prendano le scelte più giuste.
Contrariamente a quanto si possa pensare, non si tratta di proselitismo religioso, quanto più di umana comprensione e affetto disinteressato, quasi come quello che un genitore rivolge al proprio figlio.
Poste in essere siffatte premesse, viene naturale pensare che essere un Sacerdote significa assurgere ad un compito decisamente delicato, che è quello di guidare la propria comunità religiosa lontana dalle perdizioni
Perché il senso di comunità è così importante?
Spesso si sente parlare di comunità, di comunione di spirito e via discorrendo.
Perché è un concetto così importante per i Sacerdoti? La risposta è semplice: così come per un professore è importante vedere che il suo lavoro porta degli ottimi risultati ai suoi studenti, per un Parroco è fondamentale vedere che le sue opere di bene e il suo impegno profuso costantemente porti alla creazione di una sorta di catena d’amore, dove tutti i membri della Parrocchia cooperino tra di loro all’insegna dell’amore reciproco.
In questo preciso contesto, il Sacerdote assurge al compito di punto di raccordo tra i fedeli, le loro problematiche e la loro effettiva risoluzione, poiché anche se il gregge pascola in maniera ordinata, ha sempre bisogno del pastore che ne guidi i passi, talvolta incerti.
Il prodotto finale delle opere di un Sacerdote è proprio questo: una comunità religiosa viva, felice e dove regnano la pace e l’umana solidarietà.
In definitiva, quindi, è possibile affermare che il Sacerdozio non solo richiede studio, nozioni filosofiche e teologiche, ma richiede soprattutto una pura vocazione per fare in modo che i fedeli seguano la Messa e si comportino secondo i crismi dettati dalla parola di Cristo, che non si discostano poi tanto dalle sovrastrutture sociali e giuridiche che ci si impegna di osservare.
Per fare in modo che tutti i fedeli si riuniscano all’insegna dell’amore e della solidarietà, è assolutamente doveroso che il Parroco organizzi degli eventi che mettano in comunicazione i fedeli con gli ultimi, ossia quelli che la società, talvolta, tende a lasciare indietro.
Creando così una sorta di cooperazione vera e propria, i fedeli comprendono che la Chiesa non è solo la ripetizione sistematica di una liturgia secolare, ma al contrario comprendono che è innanzitutto condivisione di esperienze, idee, sentimenti e quant’altro.
Un modo infallibile per creare una comunità di pace e di serenità riunita intorno al parroco.
Se, quindi, quello del sacerdote non può essere definito un lavoro, ma una vera e propria vocazione, è altrettanto doveroso rispondere ad una delle domande che sempre più spesso vengono poste: i sacerdoti sono pagati?
La risposta è si. Per il loro operato, i sacerdoti ricevono un compenso dall’Istituto Centrale per il Sostentamento del Clero.
Va da sé che è anche grazie alle tante offerte dei fedeli che i nostri sacerdoti riescono a mantenere le loro parrocchie e a garantire un luogo di accoglienza e solidarietà a chiunque ne abbia bisogno.