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Vacanze romane: recensione di un film eterno nella città eterna

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Vincitore di tre premi oscar nel 1954 e di un titolo ben più impervio, quello di essersi reso indimenticabile nella memoria cinematografica di tutti i tempi, Vacanze romane è un film cult del 1953, diretto da William Wyler.

Arricchito dalla presenza del già navigato Gregory Peck e da una raffinata e misurata Audrey Hepburn alle prime armi che grazie al suo sorriso gentile riuscirà ad accattivarsi gli spettatori di tutto il mondo – la Hepburn si aggiudicherà l’oscar come migliore attrice per questo film – Vacanze romane è un film nato da un’idea vincente della coppia di sceneggiatori John Deighton e DaltonTrumbo.

L’idea era in origine quella di portare per la prima volta sugli schermi un’adorabile comedy-romance ispirata alla celebre fiaba di Cenerentola rivisitata al contrario. Se infatti nel racconto dei Grimm Cenerentola da umile fanciulla diviene principessa del regno, nella pellicola ambientata nel ventre della città eterna sarà la principessa Anna a voler vestire i panni di una ragazza comune.

Sua maestà di una nazione non esplicitamente citata, Anna (Audrey Hepburn) è alle prese con un viaggio diplomatico per le grandi capitali d’Europa. Roma sarà il luogo d’elezione di una notte alquanto insolita e vivace. Sfinita dalle snervanti e soffocanti formalità proprie del protocollo di palazzo, Anna fugge nel buio della notte, alla volta della città aperta e libera, tutta da scoprire.

Il desiderio di fondersi ai comuni normali è lì a portata di mano e la principessa sceglie di non dissimularlo.

Negli stessi attimi Joe Bradley (Gregory Peck), giornalista statunitense d’incarico a Roma, sta giocando con alcuni amici a poker all’italiana. Una variante di poker, questa, che differisce dalle varianti più popolari. Il Texas hold’em, a differenza del poker italiano, prevede la presenza di almeno tre carte scoperte sul tavolo in comune tra i vari giocatori.

Una volta terminata la partita Joe, passeggiando nei pressi dei Fori Imperiali, si imbatte per caso in Anna senza riconoscere che si tratta della nota principessa che proprio l’indomani avrebbe dovuto intervistare. Dopo aver tentato invano di riaccompagnarla a casa su un taxi, Joe si arrende all’idea di ospitare la graziosa ragazza dall’espressione stralunata nella sua camera fino al giorno dopo. Naturalmente il mattino seguente Joe si renderà conto della preziosa identità che si cela dietro il delizioso aspetto del suo recente incontro.

È Roma a fungere da mirabile cornice a questo breve e intenso incontro. La Roma che – con i suoi colori, i suoi rumori e con i suoi umori – per una notte e per un giorno si trasforma per Anna nel mondo intero.

Non è la Roma città aperta, né quella di Ladri di biciclette, è una Roma questa che si presta (inaugurando per certi versi i crismi del cinema più felliniano) ad un che di magico, di fiabesco, di estremamente vitale.

Dalla Bocca della Verità al giro in Vespa tutto è novità, stupore e meraviglia. Tutto è un altro mondo in cui è piacevole perdersi. È l’eterna contraddizione tra piacere e dovere a far parlare le scelte di Anna. La perenne ricerca di un’altra possibilità, di un altrove e di un Altro in cui smarrire le preoccupazioni di una vita preconfezionata, anche se per poco. E anche se per poco, non è la durata a determinare l’esito.

La sapiente regia di Wyler è abilissima qui, nel lavorare non tanto per il perfetto happy ending, quanto piuttosto per conservare il valore dell’attimo. L’oraziano carpe diem che spesso in una vita già determinata può trasformarsi in un catartico supporto.

Ecco il merito di Wyler. L’aver immortalato un frammento di Roma con uno stile cinematografico tipico solo di un grande regista e di un grande classico. Un film che resiste all’inesorabile scorrere del tempo riportandoci sempre il calore della meraviglia. Eterno come la città che ritrae.

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